Il GENOA dei MIRACOLI ||| L'IMPRESA di Anfield
Quando Claudio Ibrahim Vaz Leal Branco accarezza con le mani il pallone al minuto 43 del secondo tempo di Genoa-Liverpool, ispezionandolo per cercare il punto esatto in cui calciarlo, è come se tutti i quarantamila sugli spalti respirassero con gli stessi polmoni. Anzi, non respirassero affatto, perché è un momento che impone di trattenere il fiato. Anche il pallone, a suo modo, respira, attraverso la valvola per il gonfiaggio, che secondo molti è il segreto delle punizioni dei brasiliani. Un colpo fortissimo di esterno, anzi con le “tre dita” esterne del piede, secondo una tecnica portata all'attenzione del mondo dal grande Roberto Rivelino negli anni Settanta. Un colpo secco con le tre dita e la palla prende traiettorie imprevedibili e velocissime, imparabili. Branco è uno dei massimi specialisti al mondo: ai Mondiali 1990 ha mandato all'ospedale il povero scozzese MacLeod, abbattuto in barriera da un suo missile durante Brasile-Scozia. Due suoi tiri mancini dalla distanza hanno fatto da sigla di testa e coda per il miglior Genoa di sempre, quello 1990-91, che per la prima volta nella storia si è qualificato in Coppa UEFA. A novembre 1990 la punizione che è valsa la vittoria nel derby contro la Sampdoria ed è finita sulle tessere degli abbonamenti per la stagione successiva. A maggio 1991 la fucilata contro la Juventus all'ultima giornata, una sorta di spareggio-UEFA che per la prima volta dal 1962 ha tenuto fuori dalle Coppe i bianconeri, solamente settimi. Ma c'è un problema: siamo a inizio marzo e in questa stagione Branco non ha ancora segnato nemmeno un gol. Anche se tre giorni prima, nella disfatta al Delle Alpi sempre contro la Juventus, ha avuto occasione di prendere la mira all'ultimo minuto: palo interno. Perciò questa punizione, non c'è dubbio alcuno, la tirerà lui. Ma se il primo scudetto del Doria è arrivato a coronamento di un decennio straordinario, in cui sotto la guida di Paolo Mantovani e Vujadin Boskov hanno fatto collezione di coppe Italia e finali europee, il Genoa ha dovuto sudarsela come da tradizione. A capo della società c'è Aldo Spinelli, un imprenditore di Genova che eccelle nel campo dei trasporti di merci, sia su gomma che via nave: ha acquistato il Genoa nel 1985, in serie B, e ha faticato parecchio prima di trovare la rotta. Nei momenti di esaltazione, comunque piuttosto rari se sei il presidente del Genoa, la mente torna spesso al pomeriggio del 19 giugno 1988, quando il Grifone aveva giocato un vero e proprio spareggio per non retrocedere in C a Modena, con un caldo infernale. E aveva vinto 3-1, e aveva mantenuto la categoria, e tutti si erano giurati: mai più. L'anno dopo in panchina si era seduto un altro uomo di mare, il Professor Franco Scoglio da Lipari, e il vento era girato: promozione nel 1989, salvezza nel 1990. E poi Spinelli era riuscito a portare a Genova uno degli allenatori più bravi e sottovalutati dell'intero calcio italiano: “il mago della Bovisa”, Osvaldo Bagnoli, l'uomo del miracoloso scudetto del Verona 1985, poi retrocesso in B cinque anni dopo. Non un fuoriclasse delle pubbliche relazioni, l'Osvaldo, sempre improntato a un realismo brutale, allergico alle iperboli, ai proclami, ai voli pindarici. Tanto che Gianni Brera gli ha regalato un soprannome che era tutto un programma: “Schopenhauer”, non il più allegro dei filosofi. Un uomo introverso, umile, che non si vergogna di dire che ha preso la terza media a 26 anni: ma certamente non uno stupido. Un grande allenatore che estrae il massimo dalla coppia Aguilera-Skuhravy e dalla sapiente regia difensiva del libero Gianluca Signorini, passato dal Parma di Sacchi alla Roma di Liedholm fino all'Osvaldo che a partire da lui disegna il terzo attacco del campionato, cinque gol in più del Milan di Sacchi, quelli che in teoria fanno il calcio-spettacolo.